sabato 22 febbraio 2014

Una ASN semplicemente illegale*


Non serve girare attorno al quesito di fondo, senza dichiararlo. Questa ASN è – senza mezzi termini – ‘illegale’. Dovrà pur ammetterlo il MIUR. E ricominciare daccapo.

Perché? Perché il sorteggio delle Commissioni – come disposto dalla Procedura di sorteggio ai sensi del DPR 222/2011 – andava effettuato con sequenza unica. Le cose, invece, sono andate diversamente. Il CUN è intervenuto, a suo tempo (a pro della sequenza unica), inutilmente.

Si sta cucinando – per chi non l’avesse capito (nessuno) – la docenza universitaria italiana del futuro. Leggerezze e illegalità non sono, pertanto, ammissibili.

È già troppo che questa ASN sia cominciata come una verifica dei requisiti scientifici (cosí era) e sia diventata per strada un concorsone a cattedre ordinario. Spiazzando i candidati. A che pro poi? Assistiamo sconcertati a esiti di oltre 400 (quattrocento) abilitati nello stesso SSD. Venti per Ateneo. Che cosa faranno? Che cosa ne faremo? Spiazzati e ingannati.

Torniamo al punto. Sequenza unica per i sorteggi – o meglio sequenze numeriche da estrarre una tantum (a seconda del numero degli aspiranti commissari, idonei per ‘curriculum’, inclusi nelle liste alfabetiche per SC) – non c’è stata.

Motivazione: non tutte le liste dei commissari sorteggiabili sarebbero state pronte (la sequenza unica avrebbe pertanto ritardato tutta la procedura, con danno del sistema e bla bla bla). Onde si sarebbe proceduto a sequenza unica rispetto al numero di commissioni da sorteggiare in una precisa tornata... (E neppure questo è vero.)

Insomma (a voler tacere di altro, per esempio numero di matrici diverso per sessione iniziale e sessione suppletiva, il che non è violazione palese del criterio d’imparzialità dell’actio amministrativa?), hanno proceduto ‘alla spicciolata’, vanificando il dispositivo anti-broglio.

Sissignori! S’è tirata su tutta quest’impalcatura con l’intento di ovviare ai concorsi gestiti dai baroni (come vengono chiamati), per dare adito al sospetto (fondato) che le sequenze per ogni SC si siano potute ri-estrarre in modo da far passare, su disegno preordinato, certi commissari e non altri?

A pensar male si fa sempre bene. Figuriamoci in caso di manifesta negligenza del Regolamento vigente (Modalità di sorteggio delle commissioni per l’ASN ai sensi del DPR 222/2011, c. 4). Il quale disponeva espressamente: «La sequenza è unica per tutte le commissioni onde garantire la massima sicurezza e semplicità della procedura».

Questa ASN – per come è stata condotta fin dall’inizio, in spregio alla norma – è semplicemente illegale. Si decida il Ministro a far rispettare la Legge (sospendendo intanto, in via cautelare, la validità degli esiti), e accerti che cosa è avvenuto.

            Loriano Zurli


*L’art. già pubblicato su Roars ha suscitato una vivace e proficua discussione

lunedì 27 gennaio 2014

ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE - Commissari marziani, senza pubblicazioni


Settore scientifico disciplinare 10/D3, Lingua e letteratura latina, numero di candidati II fascia: 137, numero candidati I fascia: 63; numero dei candidati che hanno presentato domanda sia per la II che per la I fascia: 20 (di cui 8 risultati non idonei già in sede di valutazione – effettuata per prima – della II fascia).
Considerato il numero ‘massimo’ di pubblicazioni che i candidati potevano presentare, a seconda della fascia (e sottratte dodici pubblicazioni pro capite degli 8 non idonei alla II fascia che avevano presentato domanda anche alla I): 1644 pubblicazioni i candidati di II fascia, 1038 pubblicazioni i candidati di I fascia. Totale massimo 2682 pubblicazioni (se ho commesso qualche erroruccio nel computo, lo correggerete).
Nessun escamotage: quand’anche un commissario avesse letto, precedentemente alla tornata di valutazione, un buon numero di pubblicazioni, avrebbe dovuto ri-leggerle alla luce dei criteri valutativi che la commissione si è data.
Verbali alla mano, quattro quinti della Commissione giudicatrice del settore ha lavorato dal 29 gennaio al 14 settembre (196 giorni). Ammettendo che abbiano lavorato tutti i giorni (senza fare altro), esclusa la sola domenica, ciascuno dei commissari ha letto piú di 13 pubblicazioni al giorno.
Il quinto commissario – che ha sostituito il precedente dimissionario – ha lavorato dal 29 luglio al 14 settembre (41 giorni). Ammettendo che si sia preso libere solo le domeniche (e non abbia fatto altro), ha letto qualcosa come 65 pubblicazioni al giorno.
La Commissione non si è valsa della proroga ministeriale al 30 novembre.
Dei veri marziani (il commissario subentrato non è neppure della nostra galassia). Giulio Ossequente li avrebbe ricordati nel suo Liber prodigiorum.


Stessa Commissione (10/D3, Lingua e letteratura latina), giudizio collegiale: «La produzione scientifica è parzialmente coerente con il settore». La produzione scientifica del candidato superava, abbondantemente, qualsiasi mediana. Bocciato.

Per esser ammessi al sorteggio e divenire commissari, l’ANVUR aveva fissato tre mediane e relativi indicatori numerici (ovviamente questi indicatori numerici andavano raggiunti e superati).

Ecco i valori delle tre mediane del settore 10/D3:
#libri     1           
#articoli su rivista e capitoli di libri           13     
#di articoli in riviste di fascia A           3

Accertamento della qualificazione scientifica degli aspiranti commissari da parte dell’ANVUR (nel cui sito si trovano pubblicati i curricula degli aspiranti commissari sorteggiabili).

Si veda il Curriculum Vitae del commissario subentrato (Luigi Munzi). Presenta le seguenti pubblicazioni pertinenti al settore: tre contributi in Atti di convegno (nn. 4, 5, 6), un contributo in volume (n. 1), otto articoli in rivista (nn. 1, 5, 7, 10, 12, 13, 17, 20). Riguardano, eccetto due o tre, i grammatici latini (operanti nel periodo oggetto del settore disciplinare). Tutte le altre «non sono coerenti con il settore».

E se si va a vedere la normativa vigente (“Procedura per la formazione delle commissioni nazionali etc.”, art. 5, comma 1 b, rinviante al DM 76/2012, art. 8, comma 3 e bla bla bla), con riguardo alla «coerenza» accertata sulla base degli indicatori di attività scientifica – al fine della valutazione della qualificazione degli aspiranti commissari (DM 76/2012, Allegato B, 6 a, b) –, le pubblicazioni coerenti con il settore disciplinare, appena sufficienti per adire il sorteggio, si riducono, «nei dieci anni consecutivi precedenti la data di pubblicazione del decreto ...», indicati dal legislatore, a un contributo in volume e quattro articoli in rivista.

Insomma, spalmate sulle tre mediane:
#libri     0           
#articoli su rivista e capitoli di libri           1     
#di articoli in riviste di fascia A           4

Com’è che è divenuto commissario?

Regole demenziali (alla faccia di professori – senza articoli in fascia A – non ammessi al sorteggio).

Addendum. Lo stesso commissario ha ritenuto ‘non convincente’ la produzione scientifica di piú di 10 candidati alla I fascia che superavano tutte e tre queste mediane. In verità nei bocciati per la I fascia (50%) non c’era un solo candidato che avesse meno pubblicazioni di lui «coerenti con il settore» (pare non ce ne fossero neanche tra i candidati alla II fascia, che ha registrato una percentuale di bocciati del 60%).


            Loriano Zurli
Ordinario di Filologia latina
Università di Perugia


domenica 29 dicembre 2013

ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE


Quando i commissari sono peggiori dei candidati

Il pesce puzza dalla testa. Si sa che quando l’istruzione e la ricerca non sono messe in condizione di  trainare, il Paese arranca. E poco alla volta disperde le rare eccellenze che ha (senza saperlo). Subentra allora, solitamente, quel certo trantran, mascherato di sensazionalismo. Dietro il quale non c’è niente; niente che faccia sperare in una ripresa seria. Cosí è oggi – a non voler raccontare storielle – nell’Università e fuori di essa.
Accompagnata da gran fragore su media e giornali, dall’esordio fino alla pubblicazione dei risultati, si è svolta la prima tornata dell’ASN (Abilitazione Scientifica Nazionale) a professore universitario di I e di II fascia. Una megaoperazione gestita da quell’organismo mastodontico (e costosissimo per le casse dello Stato) che è l’ANVUR (Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema Universitario e della Ricerca): creatura della Legge Gelmini (figlia di tanta madre, e si vede), che provvede anche alla VQR (Valutazione della Qualità della Ricerca) e all’AVA... Dio quante sigle! No, non è ‘Ava come lava’, è Autovalutazione, Valutazione periodica, Accreditamento.
Da noi l’ANVUR è spuntato come un fungo. C’è; dispone, fa le veci del Ministro per l’Università e la ricerca (ma li paghiamo tutt’e due, MIUR e ANVUR). Punto e basta. L’Università se l’è trovato, da un giorno all’altro, sul groppone senza sapere da chi e come sono state disposte le nomine dei suoi vertici. Ma sembra non importare a nessuno (o quasi).
Fatto sta che nelle sedi universitarie non si parla quasi d’altro. La parola d’ordine ‘valutazione’ è entrata in circolo come un veleno: al punto che meno importa la qualità della produzione che l’esito della valutazione (l’imperativo ‘studiare’, applicarsi per il progresso della conoscenza, per la Scienza, pare passato in second’ordine).
I Paesi, che hanno adottato per primi un organismo simile all’ANVUR, lo hanno già abbandonato o lo stanno abbandonando. In Italia persiste, malgrado le critiche universali (inappuntabili) che ne infirmano le fondamenta. Esemplare quella di una mente illuminata qual è Tullio Gregory (“il manifesto” dello scorso 3 ottobre). Un altro illustre studioso, che vi partecipa, riconosceva che è ‘perfettibile’ (parola di Luciano Canfora, “Corriere della Sera” dei primi di settembre). La vedo dura, con queste premesse; specie in assenza di un minimo di democrazia nella scelta dei dirigenti e responsabili.
Per la VQR, l’organismo si vale del meccanismo (fasullo) del ‘tutti valutano tutti’. È legittimo? Sensato no di certo. Professori ordinari di Università italiane e straniere hanno valutato una selezione di titoli scientifici di loro pari e delle fasce inferiori. E fin qui passi (benché il criterio presupponga una sorta di onniscienza nel giudice valutatore). La votazione numerica per ciascun titolo scientifico (corrispondente a un giudizio sintetico: ‘eccellente’, ‘buono’ ecc.) doveva essere accompagnata da giudizi analitici sui singoli titoli. Cosí non è stato (solo votazioni numeriche). Poi si è venuto a sapere che i titoli scientifici dei professori ordinari erano stati valutati anche dalla fascia inferiore, e perfino dai ricercatori. No comment!
Quanto all’ASN, di cui parliamo, è innegabile intanto che il sistema adottato per formare le commissioni giudicatrici sia il peggiore che si potesse immaginare. Gli aspiranti commissari dovevano semplicemente superare una cosiddetta mediana di settore, prevista anche per i candidati; e partecipavano di diritto al sorteggio per entrare in commissione. Senza elezione alcuna, né prima né dopo. E poiché la mediana – diciamolo pure – fissava un numero minimo irrisorio di pubblicazioni, al sorteggio hanno avuto accesso indistintamente tutti gli ordinari. Si sono formate in tal modo commissioni che nessuno mai, dico mai, avrebbe eletto.
Naturalmente mediane di settore erano state stilate anche per l’ammissione dei candidati dei due macrosettori, bibliometrico (in sostanza quello tecnico-scientifico) e non bibliometrico. E infatti questa ASN doveva essere in teoria una semplice verifica: doveva verificare chi dei candidati ha le carte in regola per accedere, sulla base delle specifiche mediane, alla docenza universitaria, nelle due fasce, e chi no. Ma per certe commissioni di ambito umanistico questa verifica è diventata, inspiegabilmente, un vero concorsone a cattedre ordinario (con tutto ciò che ne consegue).
Per prima cosa hanno infatti ritenuto inadeguate e comunque non vincolanti le mediane delle due fasce, e non vi si sono attenute. Per non penalizzare – è questa la ‘ragione’ che si è sentita da piú parti – studiosi meritevoli che fossero eventualmente al di sotto. Vero. Tant’è che hanno concesso l’abilitazione a studiosi che non raggiungevano la mediana o la raggiungevano a stento (ma in compenso vantavano altri titoli ...). E l’hanno negata a studiosi che la superavano, anche abbondantemente.
Quanto abbondantemente? In certi casi, tanto. Il candidato era infatti tenuto a presentare un numero massimo prestabilito di pubblicazioni, ma nel ‘curriculum’ prodotto era spesso evidente il superamento della mediana anche di parecchie volte. E non è servito a niente (non è bastato a salvarlo dalla bocciatura).
Si capisce già da questo che è mancata (almeno in ambito umanistico) una regia che garantisse ai candidati dei diversi settori un’equità di trattamento. Le cifre parlano chiaro. Si prendano a titolo di esempio i risultati dei due settori ‘cugini’ Lingua e letteratura greca e Lingua e letteratura latina. La commissione di greco ha abilitato – in cifre tonde – il 65% dei candidati alla II fascia e il 70% dei candidati alla I fascia; la commissione di latino, invece, il 40% (II fascia) e il 50% (I fascia).
Inoltre (e qui si avverte fortemente il problema del diverso trattamento ricevuto dai candidati a seconda della commissione di settore), la commissione di greco ha concesso – largamente – ai ricercatori meritevoli, presentatisi sia per la II che per la I fascia, l’abilitazione in tutt’e due le fasce; al contrario, la commissione di latino ha applicato assai rigidamente – ovviamente senza dichiararlo agli atti – il criterio per cui il candidato non può fare il ‘doppio salto’: ossia niente abilitazione alla I fascia se il candidato non è professore associato, qualunque fosse la sua qualità scientifica (fanno eccezione due o tre casi, inspiegabilmente a fronte di una decina di associati bocciati). E peggio ancora è andata, con questa commissione, ai cosiddetti ‘non strutturati’, presentatisi per la II fascia (basta vedere le percentuali).
È probabilmente vero che il ruolo cui molti dei non strutturati avrebbe potuto legittimamente ambire – e cioè il posto di ricercatore a tempo indeterminato – era già stato abolito dalla Legge Gelmini; per cui non rimaneva loro che tentare la II fascia, e in troppi non ce l’hanno fatta. Cosí, in buona sostanza, i ricercatori (la cui età media in Italia è notoriamente alta) hanno avuto accesso (quelli che l’hanno avuto) alla II fascia; i non strutturati, tra i quali si contano i giovani (ma vai a vedere che quasi sempre di over forty si tratta), sono rimasti in massima parte al palo. Morale: nei settori umanistici, l’ASN ha prodotto un esito opposto a quanto la Legge Gelmini si proponeva (in verità con scarsa cognizione di causa), e cioè svecchiare la docenza universitaria e aprire l’Università italiana ai giovani valenti.
Ma c’è di piú, e di peggio, se andiamo a mettere il naso nel concreto delle procedure abilitative. Per le quali punterò il dito sul settore 10/D3 Lingua e letteratura latina, ove tutte le magagne su denunciate, e altre ancora, si sono inconcepibilmente realizzate. In questo settore la mediana utilizzata per la cernita degli aspiranti commissari ha consentito di adire il sorteggio anche a professori le cui pubblicazioni scientifiche nel settore specifico sono tutt’altro che numerose (prescindendo da una miriade di recensioni e brevi articoli che gonfiano il numero in assenza di un’edizione vera o un saggio di ampio respiro) o addirittura si contano sulle dita di una sola mano (e c’è da chiedersi come abbiano potuto soddisfare la mediana). Al contrario, non erano poi cosí rari i candidati la cui produzione scientifica, documentata nei curricula, superava la mediana di due, tre, quattro, perfino cinque o sei volte. Inutilmente, però. Dato che, una volta sorteggiati e divenuti commissari, quei professori hanno messo da parte le mediane previste per l’ammissione dei candidati alla I e alla II fascia ed ecco i risultati: bocciati, per la I fascia, la metà dei candidati, inclusi associati e idonei associati con parecchie decine di pubblicazioni scientifiche di apprezzato spessore filologico-letterario e di vasta eco internazionale piú titoli di ricerca eccellenti (in alcuni casi pari o superiori a quelli dei loro giudici); per la II fascia, poco meno di due terzi dei candidati, compresi ricercatori confermati con produzione scientifica di tutto rispetto, e una percentuale da capogiro di giovani perlopiú non strutturati (ai quali non è bastato un centinaio e passa di pubblicazioni scientifiche in curriculum). Come dire loro: ‘arrendetevi, non ce la farete mai’.
In cambio, hanno conferito l’abilitazione alla I fascia a chi ha presentato un numero di pubblicazioni scientifiche che non raggiungevano due mediane su tre o giú di lí (potenza della sorte... e di qualcos’altro!). E c’è da aggiungere che parecchie ‘bocciature’ si spiegano solo con l’aura frivola nel ritrovarsi, inopinatamente, giudici di una procedura valutativa nazionale o, peggio ancora, con certi vizietti accademici tristemente noti (il che getta una luce sinistra su questa procedura che vorrebbe sembrare severa, sí, ma immacolata).
Tutte le persone colte, italiane o straniere, e naturalmente gli esperti del settore, hanno a disposizione L’Année Philologique online, il repertorio internazionale che registra annualmente gli studi di Antichità classica; incompleto certo ma cosí è per tutti, commissari e candidati. Basta cliccare sui nomi degli uni (i commissari) e degli altri (i candidati) e les jeux sont faits. Giudizi e commenti li lascio agli addetti ai lavori che avranno voglia e pazienza di andarsi a vedere la produzione scientifica di alcuni candidati abilitati vattelapesca come, ma anche di comparare la produzione scientifica di almeno tre quinti dei commissari con quelle di certi candidati davvero eccellenti, bocciati benché sicuramente meritevoli di conseguire l’abilitazione nazionale. Si tenga presente che in parecchi casi c’è una differenza di vent’anni tra questi candidati e i loro giudici (anche se a vedere le rispettive produzioni scientifiche non si direbbe proprio), prima di chiedersi come – con quale pudore e quali alchimie estranee alla scienza del settore – siano riusciti a bocciarli, a dispetto dei curricula con tante pubblicazioni e titoli di valore. E consigliar loro di adempiere, prima di emettere verdetti, al precetto di Giovenale ‘noscenda est mensura sui’.
D’altronde esiti bislacchi (diciamolo pure) ci si potevano aspettare da questa commissione ASN, che ha preferito chiudersi a riccio, gelosa delle sue prerogative, scaturite (pare essersi dimenticata) da un sorteggio, invece d’interloquire sui criteri da adottare – come sarebbe stato giusto e opportuno fare – con le sedi universitarie e l’organismo nazionale di rappresentanza del settore, specie in prima applicazione delle nuove procedure abilitative. Salvo tentare di ‘giustificare’ il proprio operato (altri sensi non potrebbe averne), a lavori conclusi e inoltrati all’ente di competenza, in sede CUSL (Consulta Universitaria di Studi Latini), producendo tuttavia tirate contro la filologia ‘pura’ – demandate nella circostanza alla presidente di commissione –, che hanno fatto rabbrividire la platea e lasciato di stucco tutti i piú accreditati esponenti del settore. (Ovviamente: non c’è filologia astratta dalla critica letteraria; astratta dalla filologia, la critica letteraria scade in chiacchierologia.) Fatt’è che, in forza del criterio di giudizio assunto dalla commissione, i candidati filologicamente piú dotati, i piú attenti alla tradizione del testo, quegli stessi che hanno fornito o hanno posto le premesse indispensabili per fornire un’edizione critica seria (fiore all’occhiello della nostra disciplina), – a mio avviso i migliori, e comunque tra i migliori – sono stati sistematicamente bocciati. Incredibile? No, anzi; dopo quanto ho spiegato.
Questi i dati oggettivi a conclusione dei lavori per l’ASN del settore di pertinenza. Ma un altro dato oggettivo, che certo affligge ulteriormente chi pensava di sottoporsi ad una semplice verifica, sulla base di una mediana, e comunque di meritare l’abilitazione che non è arrivata, non va taciuto. Intendo dire l’ampliamento delle differenze reali di valore tra ricercatori respinti e premiati con l’abilitazione alla II fascia; e l’innegabile appiattimento di valori tra i vincitori, magari a giusto titolo, dell’abilitazione alla II fascia e i candidati eccellenti che si son visti sfumare, pur meritandola, l’abilitazione alla I fascia. Per non parlare dello stravolgimento dei valori in campo, in settori affini, tra ricercatori bravi che hanno conseguito simultaneamente le due fasce e associati, anche bravissimi, rimasti in II fascia. L’ASN ora ha accresciuto, ora ha livellato competenze che non sono eguali. Neppure per sogno. Ma questi sono incidenti da mettere in conto – purtroppo –,  in una esperienza già di per sé inutile e fallimentare (qual è stata finora questa ASN), quando i commissari sono peggiori dei candidati.

Loriano Zurli
Ordinario di Filologia latina
Università di Perugia

martedì 31 luglio 2012

TFA, UN GRAN PASTICCIO

In un intervento sul “Corriere della sera” del 24 luglio in ordine a domanda e risposta, entrambe sbagliate, del test per il Tirocinio Formativo Attivo, Luciano Canfora ha in parte corretto la definizione errata di ‘variante’ in filologia, proposta da ignoti commissari ministeriali. Non bastassero le sue ovvie osservazioni circa la trasmissione di lezioni su papiri ed iscrizioni, oltre che su codici, c’è da tener presente la nozione di variante ‘adiafora’, che inficia da sola – senza bisogno di aggiungere altro – domanda e risposta del test. Avrei dovuto comunicare le mie considerazioni ad un quotidiano a tiratura nazionale? Forse; ma non amo esibire la mia firma sui giornali non scientifici (lo fanno già in troppi), e poi non mi va di rendere conto a questo o quel direttore ovverosia di calibrare quanto ho da dire in ragione degli interessi e delle aspettative del gruppo finanziario che pubblica la testata. Torno all’argomento TFA. Anzitutto, non si dovrebbero fare accessi all'insegnamento nelle scuole tramite questionario (che è già un’infamia di per sé: cinque anni di laurea conclusi da un quiz televisivo). E in ogni caso non si possono fare con questionari contenenti errori ‘scolastici’ clamorosi. Si compromette la credibilità dei docenti universitari responsabili della formazione degli allievi che accedono o, meglio, si sottopongono a prove per accedere al TFA e, soprattutto, si mette a rischio la carriera e il futuro dei giovani che si dedicano al raggiungimento di quel nobile quanto mal remunerato traguardo, che è l’insegnamento nella scuola. Vi chiederete: perché ministero, se proprio li ritiene indispensabili, non affida la compilazione dei questionari di accesso ad una équipe di professori universitari, che sicuramente non commetterebbe simili pastrocchi? In verità se lo chiedono in molti; inutilmente, pare. La domanda n. 24 del test per il TFA, classe concorsuale A52, di giovedì 26 luglio, recitava: «Scegli il pronome corretto da inserire al posto dei puntini: solet ... cum aliquid furiose fecit, paenitere», e prevedeva come risposte «sibi», «eum», «se», «me»; e il giorno dopo, 27 luglio, pubblicate le soluzioni, è stata indicata come risposta esatta «se», ad esclusione di tutte le altre. Forse era il caso di consigliare ai commissari ministeriali una buona sintassi latina normativa, ad uso delle scuole medie superiori, come quella (vecchia, ma sempre valida) di Ghiselli – Guidi, ove riguardo ai verbi impersonali miseret, paenitet etc. sta scritto: «“Impersonali” si dicono questi verbi perché il loro soggetto non figura espresso: esiste tuttavia, ed è il concetto implicito nel verbo stesso [...] Ecco perché una frase come “si pente” non può tradursi: se paenitet, perché significherebbe “il pentimento fa pentire se stesso”. Bisogna invece dire: eum paenitet = il pentimento prende lui»; e di séguito, alla Nota 1, si aggiunge: «Il se, con miseret, paenitet, ecc., si ha solo quando sussiste un effettivo valore riflessivo [...]». In sostanza, «se» qualora sussista questo valore riflessivo e sia evidente che il pronome si riferisce al soggetto (inespresso nel periodo proposto), altrimenti «eum». In effetti il periodo è tolto dall’Epistolario ciceroniano ad Attico, VIII 5, 1 (vi parla di un Dionysius). Ho sotto mano (nel mio studio domestico) la vecchia gloriosa edizione Teubner di C.F.W. Mueller, recante appunto il pron. «eum» (che rientrerebbe, stando ai compilatori del test, tra le opzioni erronee): Etsi solet eum, cum aliquid furiose fecit, paenitere. Mi sembra che possa bastare, senza scomodare Hofmann – Szantyr e altre grammatiche poziori. A questo punto, rovesciate le parti, la domanda da porre è un’altra: che farà il ministero? Probabilmente niente; salvo appioppare la responsabilità al precedente ministro. È un modo collaudato di quel gabinetto ministeriale per togliersi d’impiccio, e funziona sempre (data anche la pochezza dei ministri dell’istruzione che abbiamo avuto). Loriano Zurli

lunedì 7 settembre 2009

Università e Ricerca

Forse vi è capitato di leggere, negli ultimi mesi, qualche articolo equilibrato (e dal tono pacato) che riguardi l’Università; a me (lettore distratto di quotidiani) no. Ne hanno scritto e parlato in tanti (troppi), certo; e però raramente (per non dire quasi mai) mi è capitato di leggere o ascoltare interventi di professori universitari che piú di altri avrebbero avuto diritto a farlo: i professori, intendo, ai quali non si può rimproverare nulla vuoi perché fanno il loro dovere come docenti vuoi perché si sono fatti come studiosi un nome in ambito internazionale. Ma può darsi che per questo tipo di professori, che solitamente non hanno una tessera in tasca, sia piú facile trovare spazio in una delle riviste del settore piú accreditate al mondo che non in un quotidiano italiano.

L’Università italiana esce dal dibattito di questi mesi con le costole rotte (e un’immagine compromessa nel mondo). Intendiamoci, ci voleva. Ma si è andati un po’ troppo sopra le righe. E forse si è capito, o si comincia a capire (d’altronde meglio tardi che mai), che attacchi spesso sconsiderati da una parte, difese ad oltranza dall’altra non servono; e di sicuro non servono all’Università e alla ricerca.

Ora occorre riavviare la discussione in modo equilibrato e costruttivo, facendo naturalmente tesoro delle critiche giuste e senza dimenticare l’assunto principale: la gran parte della ricerca nel nostro Paese si fa nell’Università. E allora via le cosiddette ‘legittime aspettative’ (anzianità e servizi vari prestati), e largo ai meriti scientifici dei giovani candidati. Basta con i corsi di laurea ‘facili’ che non preparano (e sono inutili per qualsiasi lavoro). E, soprattutto, basta col tirare nel mucchio e fare di ogni erba un fascio, come se nell’Università italiana non ci fossero professori che fanno il loro dovere e sono apprezzati nel mondo per la loro scienza.

Scienziati non ci si improvvisa. Esiste un’anagrafe d’Ateneo e un’anagrafe nazionale della ricerca; esistono periodici scientifici nazionali e internazionali che dànno conto, settore per settore, dei titoli scientifici prodotti; ci sono, per i titoli scientifici piú rilevanti, le recensioni ad opera degli addetti ai lavori di tutto il mondo (francesi, tedeschi, inglesi, americani, spagnoli …). Sono questi gli strumenti con cui si quantifica e valuta la ricerca mondiale, e ovviamente anche quella italiana. La quale — a dispetto delle tante magagne — conta ancora nell’Università tradizioni di studi eccellenti anche sul piano internazionale.

Ma le eccellenze, che pure ci sono nell’Università italiana, vanno difese e coltivate. Da maestro ad allievo, occorrono decenni per formare una ‘scuola’; e basta un niente per distruggerla e gettare nello sconforto valenti ricercatori, mal pagati e senza un futuro. La loro frustrazione in patria (di cui troppo poco si parla) produce molto piú danno che non la cosiddetta fuga dei cervelli (di cui invece si parla molto, a scopo strumentale). E qui non è questione di singoli provvedimenti governativi, la cui attuazione — comunque benvenuta — potrebbe tutt’al piú alleviarne la sofferenza. Occorre cambiare rotta e mutare forma mentis. Occorre considerare che, se nella vita fai l’imprenditore, godi di agevolazioni fiscali per gli utili che reinvesti nell’azienda; mentre, se sei uno studioso, spendi senza ritorno alcuno una quota del tuo stipendio per acquistare libri che ti assistono nella ricerca (... e fai la figura del cretino rispetto al collega che percepisce uno stipendio come il tuo, ma utilizza il suo denaro in modo piú ‘proficuo’). Perciò cambiare rotta non basta: occorre mutare forma mentis e cominciare a incentivare e valorizzare davvero il merito scientifico.

La valorizzazione del merito nell’ambito della ricerca universitaria sarebbe (a sentire quotidiani e fonti governative) una delle preoccupazioni, anzi la preoccupazione maggiore dell’ultimo decreto ministeriale. Detto fatto. L’articolo 1, comma 7 — valutazione delle commissioni per concorsi a ricercatore — recita: “La valutazione comparativa è effettuata sulla base dei titoli e delle pubblicazioni dei candidati, ivi compresa la tesi di dottorato, utilizzando parametri, riconosciuti anche in ambito internazionale …”. Tutto qui? Tutto qui.

Ho avuto la fortuna di sostenere, in qualità di candidato un tempo e poi in veste di presidente di commissione, il primo e l’ultimo concorso a ricercatore secondo la formula che è stata messa ora in soffitta. Ragion per cui vorrete comprendermi e perdonarmi se aggiungo, un po’ bruscamente: di quali consulenti si vale il ministro? Chi sono questi geni tutelari della “valorizzazione del merito” che hanno sostituito il precedente severo concorso da ricercatore con una valutazione dei titoli e delle pubblicazioni alla luce di parametri anche internazionali, la cui oggettività (specie per le discipline del settore umanistico) è una pia illusione?

Si rammenti che il precedente concorso da ricercatore prevedeva: una valutazione preliminare dei titoli e delle pubblicazioni dei candidati, due prove scritte (oppure una prova scritta e una pratica), un esame orale finale (con accertamento, ove previsto nel bando, della conoscenza di una o piú lingue moderne). Sicché, in buona sostanza, le due prove scritte — ciascuna delle quali su titolo sorteggiato tra tre proposti dalla commissione — rappresentavano (ancor piú delle altre prove) la speranza (fondata) del candidato capace, ma ‘non raccomandato’, di veder riconosciuti i propri meriti.

Pare comandamento divino che ogni governo debba promulgare la propria legge di riforma complessiva dell’Università. Si cambia, ogni volta, le cose che non vanno; e anche quelle che vanno (o sono comunque migliori di quelle che le sostituiscono). L’Università (che altro potrebbe fare?) si adegua, ma non fa a tempo ad adeguarsi alle normative della legge da poco varata che già deve recepire le nuove, che buttano gambe all’aria le precedenti. Sgomento e confusione. Schiere di professori impegnati a decifrare le nuove direttive di legge — concepite, di regola, senza il loro concorso e scritte in modo pessimo — consumano il tempo e la carriera in riunioni (insulse e) interminabili redigendo sempre nuovi ordinamenti, quasi fosse questa (la stesura di ordinamenti e regolamenti attuativi dell’ennesima nuova legge) la ragione principale, se non l’unica, per cui stanno all’Università ...

Appunto per la valorizzazione del merito, per la qualità futura della ricerca (e contro il conclamato nepotismo nell’Università); insomma per una buona Università e una altrettanto buona ricerca, converrà — a tutti — ripensarci e domandarsi seriamente a cosa serve questo gran bailamme.

Loriano Zurli