martedì 31 luglio 2012

TFA, UN GRAN PASTICCIO

In un intervento sul “Corriere della sera” del 24 luglio in ordine a domanda e risposta, entrambe sbagliate, del test per il Tirocinio Formativo Attivo, Luciano Canfora ha in parte corretto la definizione errata di ‘variante’ in filologia, proposta da ignoti commissari ministeriali. Non bastassero le sue ovvie osservazioni circa la trasmissione di lezioni su papiri ed iscrizioni, oltre che su codici, c’è da tener presente la nozione di variante ‘adiafora’, che inficia da sola – senza bisogno di aggiungere altro – domanda e risposta del test. Avrei dovuto comunicare le mie considerazioni ad un quotidiano a tiratura nazionale? Forse; ma non amo esibire la mia firma sui giornali non scientifici (lo fanno già in troppi), e poi non mi va di rendere conto a questo o quel direttore ovverosia di calibrare quanto ho da dire in ragione degli interessi e delle aspettative del gruppo finanziario che pubblica la testata. Torno all’argomento TFA. Anzitutto, non si dovrebbero fare accessi all'insegnamento nelle scuole tramite questionario (che è già un’infamia di per sé: cinque anni di laurea conclusi da un quiz televisivo). E in ogni caso non si possono fare con questionari contenenti errori ‘scolastici’ clamorosi. Si compromette la credibilità dei docenti universitari responsabili della formazione degli allievi che accedono o, meglio, si sottopongono a prove per accedere al TFA e, soprattutto, si mette a rischio la carriera e il futuro dei giovani che si dedicano al raggiungimento di quel nobile quanto mal remunerato traguardo, che è l’insegnamento nella scuola. Vi chiederete: perché ministero, se proprio li ritiene indispensabili, non affida la compilazione dei questionari di accesso ad una équipe di professori universitari, che sicuramente non commetterebbe simili pastrocchi? In verità se lo chiedono in molti; inutilmente, pare. La domanda n. 24 del test per il TFA, classe concorsuale A52, di giovedì 26 luglio, recitava: «Scegli il pronome corretto da inserire al posto dei puntini: solet ... cum aliquid furiose fecit, paenitere», e prevedeva come risposte «sibi», «eum», «se», «me»; e il giorno dopo, 27 luglio, pubblicate le soluzioni, è stata indicata come risposta esatta «se», ad esclusione di tutte le altre. Forse era il caso di consigliare ai commissari ministeriali una buona sintassi latina normativa, ad uso delle scuole medie superiori, come quella (vecchia, ma sempre valida) di Ghiselli – Guidi, ove riguardo ai verbi impersonali miseret, paenitet etc. sta scritto: «“Impersonali” si dicono questi verbi perché il loro soggetto non figura espresso: esiste tuttavia, ed è il concetto implicito nel verbo stesso [...] Ecco perché una frase come “si pente” non può tradursi: se paenitet, perché significherebbe “il pentimento fa pentire se stesso”. Bisogna invece dire: eum paenitet = il pentimento prende lui»; e di séguito, alla Nota 1, si aggiunge: «Il se, con miseret, paenitet, ecc., si ha solo quando sussiste un effettivo valore riflessivo [...]». In sostanza, «se» qualora sussista questo valore riflessivo e sia evidente che il pronome si riferisce al soggetto (inespresso nel periodo proposto), altrimenti «eum». In effetti il periodo è tolto dall’Epistolario ciceroniano ad Attico, VIII 5, 1 (vi parla di un Dionysius). Ho sotto mano (nel mio studio domestico) la vecchia gloriosa edizione Teubner di C.F.W. Mueller, recante appunto il pron. «eum» (che rientrerebbe, stando ai compilatori del test, tra le opzioni erronee): Etsi solet eum, cum aliquid furiose fecit, paenitere. Mi sembra che possa bastare, senza scomodare Hofmann – Szantyr e altre grammatiche poziori. A questo punto, rovesciate le parti, la domanda da porre è un’altra: che farà il ministero? Probabilmente niente; salvo appioppare la responsabilità al precedente ministro. È un modo collaudato di quel gabinetto ministeriale per togliersi d’impiccio, e funziona sempre (data anche la pochezza dei ministri dell’istruzione che abbiamo avuto). Loriano Zurli